Non dormirò più! Non dormirò piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú! Non dormiró piú!
Perché mi manca la terra sotto i piedi?
Perché non riesco a rallentare il battito del cuore?
Perché ho così tanta paura?
Io sento, e di conseguenza tutto cambia forma e significato. La luce verde, attorno, l'aura, mi parla, anzi, mi parla ad intermittenza. Perdo la frequenza. Perdo il ritmo. Vacillo. Distorco la realtà in cerca della mia, oppure la vedo chiara ed è questo che mi toglie il fiato. Vaneggio. Mi inganno.
Mi guardo attorno, cerco le mie radici, provo a inserirle, con forza, dentro al terreno, che pero' è arido, durissimo, non si lascia attraversare.
Eppure devo radicarmi, ora, adesso, devo restare salda a me. Questo è il mio tempo, non posso aspettare ancora.
Ma tutt'ora fatico anche solo a riconoscere quali siano le mie di radici, sono sottili, fragili, secche, se provo a prenderle si sgretolano.
Non arriva abbastanza linfa a nutrirle. Di cosa mi sono occupata fino ad ora?
Non c'é nessuno a sorreggermi veramente. Ognuno pensa a radicare le proprie radici, salde, al proprio terreno, perché così deve essere: ''poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti, e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro''.
Non sei di nessuno e nessuno ti appartiene, al di fuori di te. Nasciamo e moriamo da soli.
E allora provo lentamente a camminare da sola, a tracciare goffamente il mio sentiero, a inseguire i miei passi, confusi, tra gli inciampi.
Il cuore nasce libero e libero deve restare per potersi ingrandire, per poter mutare, andarsene... Non l'ho mai considerato in questo modo, eppure pare sia davvero così.
Invece l'edera dove si attacca muore... e infatti dicono che faccia morire gli alberi sui quali giace, cosa alla quale ancora non riesco a credere ma che ha un suo senso.
Prendere confidenza con le mie emozioni, donarle, concederle, condividerle, scambiarle. Le emozioni, quando le liberi, ti portano dove vogliono loro, e io ora vorrei restare dove sono. E invece la vita mi dice che devo muovermi, devo sollevare, con forza, una gamba dopo l'altra, e provare a spostarmi in un altro luogo, ignoto, per vedere cosa accade, per scoprire che si può stare anche altrove, magari bene, forse meglio.
Cado all'indietro, da un trampolino, in una piscina che è un mare, profondissimo. Resto sotto. Non vado a fondo e non nuoto per risalire.
Aspetto.
Il sale mi brucia gli occhi, che non voglio chiudere. Immagino che l'aria mi attraversi le narici, ma non posso respirare.
Aspetto.
Ma cosa?
Perché mi manca la terra sotto i piedi?
Perché non riesco a rallentare il battito del cuore?
Perché ho così tanta paura?
Io sento, e di conseguenza tutto cambia forma e significato. La luce verde, attorno, l'aura, mi parla, anzi, mi parla ad intermittenza. Perdo la frequenza. Perdo il ritmo. Vacillo. Distorco la realtà in cerca della mia, oppure la vedo chiara ed è questo che mi toglie il fiato. Vaneggio. Mi inganno.
Mi guardo attorno, cerco le mie radici, provo a inserirle, con forza, dentro al terreno, che pero' è arido, durissimo, non si lascia attraversare.
Eppure devo radicarmi, ora, adesso, devo restare salda a me. Questo è il mio tempo, non posso aspettare ancora.
Ma tutt'ora fatico anche solo a riconoscere quali siano le mie di radici, sono sottili, fragili, secche, se provo a prenderle si sgretolano.
Non arriva abbastanza linfa a nutrirle. Di cosa mi sono occupata fino ad ora?
Non c'é nessuno a sorreggermi veramente. Ognuno pensa a radicare le proprie radici, salde, al proprio terreno, perché così deve essere: ''poiché le colonne del tempio restano tra loro distanti, e la quercia e il cipresso non crescono l'una all'ombra dell'altro''.
Non sei di nessuno e nessuno ti appartiene, al di fuori di te. Nasciamo e moriamo da soli.
E allora provo lentamente a camminare da sola, a tracciare goffamente il mio sentiero, a inseguire i miei passi, confusi, tra gli inciampi.
Il cuore nasce libero e libero deve restare per potersi ingrandire, per poter mutare, andarsene... Non l'ho mai considerato in questo modo, eppure pare sia davvero così.
Invece l'edera dove si attacca muore... e infatti dicono che faccia morire gli alberi sui quali giace, cosa alla quale ancora non riesco a credere ma che ha un suo senso.
Prendere confidenza con le mie emozioni, donarle, concederle, condividerle, scambiarle. Le emozioni, quando le liberi, ti portano dove vogliono loro, e io ora vorrei restare dove sono. E invece la vita mi dice che devo muovermi, devo sollevare, con forza, una gamba dopo l'altra, e provare a spostarmi in un altro luogo, ignoto, per vedere cosa accade, per scoprire che si può stare anche altrove, magari bene, forse meglio.
Cado all'indietro, da un trampolino, in una piscina che è un mare, profondissimo. Resto sotto. Non vado a fondo e non nuoto per risalire.
Aspetto.
Il sale mi brucia gli occhi, che non voglio chiudere. Immagino che l'aria mi attraversi le narici, ma non posso respirare.
Aspetto.
Ma cosa?

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